2-07
a cura di Laura Riolfatto
wine blogger
Inconfondibile è il caratteristico colore giallo dorato, il grosso e generoso grappolo con piccole foglie, è un vitigno sano e robusto, resistente alle malattie con una buona e costante resa: stiamo parlando della garganega.
Ho lontani ricordi di un vecchio filare di garganega, proprio nei vigneti del mio bisnonno e quando ero piccola ero affascinata da questo frutto perché la chiamavano l'uva oro, come fosse preziosa. Con il tempo capii che veniva chiamata così solamente per il colore giallo intenso.
Quel filare dei ricordi si trovava nei Colli Euganei, altro territorio vulcanico dove si coltiva tutt'ora, ma marginalmente e oggi è considerato un vitigno outsider.
Vitigno autoctono italiano, conosciuto e coltivato fin dall’antichità in veneto, le ricerche degli storici Borlolami e Valandro, ci raccontano di testimonianze della presenza di garganega sui Colli Euganei nel Monte Ricco di Monselice a partire dalla prima metà del XII secolo (garganegis cum olivis), successivamente scritti del XIII secolo testimoniano la presenza del vitigno sul Monte Ventolone ad Arquà (terre de vitis garganegis). Questa varietà sembra essersi poi spinta verso le morbide colline di Gambellara (Vicenza) e poi verso Soave (Verona) dove ebbe una rapida diffusione, accolta da una classe agricola e imprenditoriale più intuitiva che ha puntato su questo vitigno. Oggi l’estensione vitata è di incredibile pregio e la produzione del Soave, vino rappresentativo del territorio, un esempio a livello nazionale e internazionale di elevata qualità e di un’imprenditorialità di successo.
Proprio nel territorio dei Colli Euganei ho intrapreso un viaggio / studio alla ricerca di quei produttori che hanno creduto in questo vitigno e hanno avviato sperimentazioni in merito alla sua vinificazione. Sappiamo che non è mai stato un vitigno principe in queste colline, anzi, è sempre stato bistrattato e il vino prodotto, spesso in grosse quantità, veniva usato per tagliare altri vini considerati di maggior pregio, come il moscato bianco negli anni ‘70. E’ tra i vitigni protagonisti della doc Colli Euganei Bianco istituita nel 1969, ma non è mai stato un vitigno su cui puntare per il lancio della zona. Non è nemmeno particolarmente profumato, anzi è da considerarsi un vitigno neutro, però ha diverse doti, è generoso, sa farsi voler bene ed è particolarmente vocato per vendemmie tardive e appassimenti, soprattutto se si ha voglia di metterlo alla prova e di divertirsi assieme.
In queste colline ho passato l’estate a conoscere alcuni produttori che, nonostante tutto, continuano a credere in questo vitigno, che lo producono in purezza come eccellenza della loro azienda, tutti accumunati da un profondo rispetto del territorio e dell’ambiente, della materia prima e delle generazioni future. Sarà una casualità, non credo, ma tutte queste aziende sono certificate o comunque applicano i principi della coltivazione biologica, biodinamica o naturale. Ascoltando queste persone, ho capito come le motivazioni che spingono queste Cantine a certificarsi come rispettose della natura, siano legate ad un percorso personale, inteso come un insieme di principi legati all’etica familiare e di produzione. Come vedremo in seguito ogni vino rappresenta il proprio produttore, dietro tutto questo ci sta un progetto di vita, investimenti importanti e un lavoro parecchio faticoso, ma altrettanto affascinante, che spesso riesce a raggiungere livelli di elevata soddisfazione. Spesso la soddisfazione passa la prima la fase della sperimentazione, della ricerca, che per la produzione di un vino significa un lungo processo di attesa e di prove. Alcuni produttori mi hanno raccontato dei loro fallimenti nella vinificazione della garganega, di prove difficili per arrivare a risultati unici che identificassero l’azienda. Il fallimento è sempre difficile da far passare con un’accezione positiva, ma è un processo logico e di crescita.
Il punto di partenza di questo racconto è ad Arquà Petrarca, nel borgo di sotto, per osservare una vite che nasce dal muro dell’ex Osteria al Guerriero, un esemplare di garganega di oltre 150 anni, straordinaria nel suo attuale stato di bellezza e salute.
Da Arquà Petrarca arrivo nella splendida e rigogliosa valle di Faedo, conosciuta in passato come Pedevendaimmersa tra vigneti e ulivi, dai cui sovrasta il maestoso Monte Venda, il più alto di tutte le colline euganee con un’elevazione di 601 mt. Lo si riconosce da lontano per il gigantesco torrione d’acciaio, importante e strategico centro di trasmissione radiotelevisivo, ma la biodiversità botanica di questo monte lo rende il più rappresentativo di tutto il complesso. Proprio qui, ai piedi di questa bellezza, si trova una Cantina che ha fatto la storia del vino del territorio euganeo: Cà Lustra Zanovello, sempre in continua ricerca e fermentazione. Da una decina di anni stanno facendo esperimenti con la macerazione sulle bucce e il loro vino “Garganega”, in commercio dal 2017, è un’interessante fusione tra tradizione, sperimentazione e ricerca dell’equilibrio, il tutto seguendo le pratiche di coltivazione biologica, con un’attenzione quotidiana al lavoro, attento e rispettoso, sia nel vigneto che in Cantina, utilizzando lieviti indigeni e fermentazioni spontanee. Il vino che ne è esce è di un bel giallo dorato, profumato di frutta gialla matura, spezie, curcuma e frutta secca, è bello corposo con un finale ammandorlato. Ottimo abbinato con formaggi stagionati accompagnati da mostarda e composte, oppure da provare abbinato a cucina orientale lievemente speziata.
Il viaggio continua scendendo da Faedo e percorrendo la strada cingolina arrivo a Fontanafredda, alla fine di una strada bianca in salita, circondata da vigne, ciliegi e ulivi, arrivo nell’Azienda Monte Brecale che prende il nome dall’omonimo monte che li sovrasta, ricco di boschi di castagno e vigneti. Ad accogliermi la famiglia Sinigaglia che con passione e perseveranza, conduce una piccola e funzionale Cantina che produce vini di nicchia e di alta qualità, una vincente artigianalità. Una qualità che si avverte nel loro vino “Garganega”, il risultato di un lavoro di ricerca durato qualche anno che prevede la vinificazione a fermentazione spontanea, con un affinamento lungo 6 mesi in vasche di cemento a contatto con un 30% di acini interi sgranati a mano, il vino viene poi imbottigliato senza filtrazioni e rimane a contatto con i propri lieviti. Ne esce un vino raffinato, con riflessi dorati, profumi intensi di frutta secca ed esotica, erbe aromatiche e spezie. Un risultato davvero interessate e fine, un vino morbido e di buona persistenza.
Lascio la Cantina Monte Brecale e mi dirigo verso Cornoleda, un piccolo borgo antico incastonato nel Monte Gemola, un luogo magico, composto da una piccola chiesetta, un campanile, una casa padronale rinascimentale e una manciata di casette. Qui il tempo sembra si sia fermato, la tranquillità, il silenzio e la pura armonia con la natura sono le caratteristiche di questo luogo circondato da boschi. Prendo una strada bianca che costeggia il piccolo cimitero e mi addentro nel bosco, dopo vari sali e scendi inizio a scorgere dei vigneti. Parcheggio l’auto tra due filari di una vigna e mi dirigo verso l’unica casa che trovo, sono arrivata ai Castagnucoli, una piccola e artigianale Cantina che produce vini naturali, un’esplosione di autenticità. Qui conosco Nicola, un archeologo che lascia il proprio lavoro per prendere in mano i vigneti del padre, inizia così un percorso difficile e tortuoso, ma virtuoso, che prevede la vinificazione completamente naturale, senza mezzi termini e senza compromessi. I vini o piacciono, oppure no. Pochi ettari di terreno coltivati nel Monte Gemola con varietà stupefacenti, garganega, dorona, marzemina bianca, merlot, corbinella, pataresca, turchetta e cavarara. Il vino che mi interessa è I Castagnucoli Bianco, un blend di garganega, dorona, glera e marzemina bianca, per questo vino vengono fatte 2 vendemmie. La prima prevede la raccolta della glera, dorona e marzemina bianca a cui viene aggiunta successivamente la garganega e lasciata in macerazione sulle bucce per 15 giorni. L’affinamento avviene in anfora per 6/7 mesi fino all’imbottigliamento senza alcuna filtrazione. Il vino che ne esce non è sicuramente limpido e cristallino, piuttosto velato con intensi riflessi dorati, al naso è intenso, frutta gialla matura, fiore di tarassaco, gerbera e erbe del bosco. Morbido e decisamente persistente, rimane in bocca un vino complesso e ben strutturato.
Scendo da Cornoleda e proseguo verso la rigogliosa valle di Valnogaredo, piccolo e affascinante paese ricco di storia e cultura: qui troviamo il Buso della Casara, un acquedotto costruito in epoca romana ancora funzionante, la villa Contarini Piva, esempio splendido della magnificenza della repubblica serenissima costruita nel ‘700 con affreschi di Jacopo Guarana, e un antico Frantoio costruito sempre nel ‘700 dai dogi Contarini, esempio pazzesco di come la tradizione della produzione dell’olio extra vergine di oliva sia stata e sia tutt’ora un’eccellenza euganea. Passo davanti al frantoio e mi dirigo nel Monte Versa, qui ad accogliermi c’è il sig. Marco Sambin dell’omonima Azienda, che produce ben quattro tipologie di garganega in purezza e si definisce lo sperimentalista. Il sig. Sambin ha investito tantissimo in questo vitigno, per lui rappresenta la flessibilità e la multiformità. La Cantina è certificata biologica, ma tutto il metodo di lavoro in vigna e la vinificazione segue la filosofia biodinamica e naturale. Possiamo trovare la garganega in purezza come passito dolce, Helena, agli estremi il rifermentato in bottiglia, Martha, oppure il macerato sulle bucce, Psyche, fino ad arrivare a Sarah, un bianco fermo e secco di un’estrema eleganza. Non mancherà a breve lo spumante metodo classico, che al momento sta riposando sui lieviti.
Lascio le alture delle colline e mi dirigo verso la piana, arrivo nel comune di Lozzo Atestino, precisamente a Valbona, borgo conosciuto per il castello medioevale del XIII secolo che domina la pianura a ovest del monte di Lozzo. Mi trovo tra le province di Padova e Vicenza, sono ai piedi dei Colli Euganei e in lontananza vedo chiaramente i Colli Berici. In questa terra di confine e di tradizione contadina, coltivata a granoturco e vigneti, ho appuntamento con Elisa dell’Azienda Agricola Nevio Scala, un luogo in perfetta armonia con la natura, dove la famiglia Scala ha messo insieme forza, passione, impegno e dedizione per la valorizzazione del territorio e di un bene davvero prezioso: la Terra. Nel 2014 Claudio, figlio di Nevio Scala, assieme alla cognata Elisa decidono di lasciare il lavoro e di prendere in mano l’azienda agricola di famiglia, nata nel 1929. Un investimento importante, sia personale che economico, li porta a piantare nuovamente i vigneti estirpati vent’anni prima. Tornano alle origini mettendo a dimora barbatelle di garganega e decidono di approcciarsi alla vinificazione naturale, i loro vini sono puliti, non estremi, di facile presentazione ed eleganti. Puntano tutto sulla garganega. Già l’anno successivo alla messa a dimora esce la prima produzione di 5.000 bottiglie, si sa che questo vitigno è generosissimo ed è anche per questo che gli si vuole bene. Ora l’azienda punta su 3 vini in purezza: Gargante, il rifermentato in bottiglia, Còntame, il macerato a contatto con le bucce e Diletto, un bianco fermo ottimo a tutto pasto. Per loro è un vino salva vita, quando non si sa cosa preparare per cena e cosa abbinarci aprono un Diletto e da li in poi tutto inizia …
Lasciato Lozzo Atestino, concludo il mio viaggio verso il versante occidentale di queste colline, attraverso il comune di Vò Euganeo, conosciuto come terra del vino e della trachite, e mi dirigo verso Zovon, un paese immerso tra boschi e vigneti. Prendo una strada in salita e dopo qualche cambio di rotta dovuto al navigatore impazzito, riesco a trovare l’Azienda Monteforche che si trova nell’omonimo monte. E’ un assolato pomeriggio di metà luglio, il termometro segna 34° gradi con una percentuale di umidità altissima, il sole batte a picco e il suono delle cicale è assordante, in questo contesto conosco Alfonso Soranzo che mi accoglie finalmente all’ombra e al fresco. Alfonso è un uomo con le idee molto chiare, deciso e controcorrente, rispettoso delle regole ma estremamente scettico delle Istituzioni, un vignaiolo indipendente ed estremamente sincero. Per Alfonso chi coltiva e produce garganega oggi nei colli euganei è un produttore che fa una ricerca di un certo tipo, che ha sensibilità, per lui questo vitigno è adatto al territorio e al clima. La garganega è fortemente radicata nel territorio e non è possibile escluderla. I suoi vigneti si trovano in terreni marnosi, alcune vigne sono molto vecchie, mentre il vigneto nuovo è stato recuperato tramite innesto selvatico germa dormiente. La materia prima e il lavoro in vigna sono per lui fondamentali, come l’uso di lieviti indigeni, senza aggiunta di solforosa e senza filtrazioni, per questo ha cambiato vari enologi prima di trovare chi ha sposato le sue idee incorrompibili. Vigneto Carantina è il suo vino di garganega in purezza, fa solo 2/3 giorni di macerazione sulle bucce, preferisce produrre un vino semplice e più fresco, per lui è importante fotografare l’essenza del vino, ricerca l’integrità e il minimalismo. E’ un vino con un bel colore giallo paglierino con note dorate, profumi ampi di pesca bianca, scorza d’arancia, fiori di campo ed erbe di bosco, salvia e note di incenso, è fresco e bel equilibrato con un finale ammandorlato.
Mi piace pensare che questi siano imprenditori agricoli illuminati, capaci di guardare lontano. Persone convinte che contribuire in modo libero alla ricerca e alla diffusione della territorialità, cercando un punto di forza in un vitigno quasi abbandonato, sia quasi un dovere oltre che un piacere personale.
Il vino è progetto | etica e pratica diventano imprescindibili.
Questa è una breve sintesi del viaggio alla ricerca di garganega euganea dopo aver chiacchierato con alcuni piccoli e medi produttori che amano e rispettano la loro terra.
||||||||||||||||||||||||||||||||