Quando si parla di vini ottenuti da vitigni PIWI si sentono sempre pareri contrastanti.
Nel mio girovagare alla ricerca di piccoli vignaioli altoatesini, mi sto imbattendo e confrontando sempre più spesso con produttori che credono fortemente nella coltivazione dei vitigni PIWI. Per loro bisogna guardare e degustare oltre, non rimanere fermi a preconcetti e non pensare alle caratteristiche di un vino solo da un punto di vista organolettico. In sintesi, mai giudicare prima di capire fino in fondo la filosofia e il lavoro che sta dietro ad una produzione simile.
È evidente che questa tipologia di vite è più resistente a malattie fungine e riduce notevolmente l’impatto ambientale della viticoltura utilizzando sempre meno prodotti chimici e fitosanitari, garantendo quindi un’uva filosoficamente e praticamente più sostenibile e sana. Dall’altro però, sempre più oppositori sono scettici sulle qualità organolettiche di questi vini, i quali sembrerebbero garantire meno complessità, meno eleganza e minor qualità rispetto ai vini tradizionali.
Lasciando da parte lo scetticismo, credo che bisognerebbe andare oltre l’etichetta e avvicinarsi a queste produzioni solo con grande curiosità e rispetto, cercando di degustare e apprezzare questi vini senza la presunzione di trovare le stesse prestazioni del vino convenzionale.
Thomas Niedermayr è forse la figura più impegnata e rappresentativa quando si parla di viticoltura PIWI in Alto Adige. La sua visione è pionieristica e i suoi vini, audaci e anticonformisti, vanno nella direzione di una produzione sostenibile e naturale. L'azienda agricola di Thomas si trova a San Michele di Appiano sulla strada del vino, in provincia di Bolzano, da oltre 25 anni è certificata biologica e da oltre 30 anni vinifica solo varietà di vitigni PIWI.
Da tempo volevo conoscere Thomas e degustare le sue produzioni raccontate da lui, ho fatto visita alla Cantina lo scorso febbraio e i suoi vini mi hanno notevolmente stupita, per la loro freschezza, per i loro profumi complessi, per la loro struttura e la capacità, a mio avviso, di essere facilmente abbinabili in cucina, cosa non da poco e comunque sempre apprezzabile.
Sonnrain, vino definito come un'armoniosa sinfonia, è una cuveè bianca ottenuta da 3 varietà sperimentali, con una predominanza di Solaris. Bello, lucente, di un giallo intenso, ricorda profumi intensi di rose selvatiche, frutta gialla estiva, susina e pesca, note sempre estive di fieno ed erbe aromatiche con un finale speziato di noce moscata. L'assaggio è elegante, il vino è morbido e avvolgente, in bocca gli aromi confermano i sentori aromatici di erbe e spezie, freschezza e sapidità spiccano tra tutti, lasciando un lunga e bella persistenza in bocca. Ho trovato questo vino di estrema eleganza e l'ho abbinato ad un piatto di pesce che mi piace preparare spesso in primavera, gamberoni alla greca, saltati nel wok con olive nere, capperi, limone e fiori di rosmarino. L'ho trovata una grande accoppiata, davvero apprezzabile, che è riuscita ad esaltare entrambi nella giusta misura, senza prevaricazioni e lasciando un gran piacere in bocca di incredibili e bilanciati aromi.
Sonnarain è prodotto con vigne sperimentali PIWI piantate nel 1999, ad Appiano Monte a circa 520 mt s.l.m. vicino le buche di ghiaccio, con terreni argillosi e calcarei con forte percentuale di roccia dolomitica. La lavorazione delle viti e la vendemmia avviene manualmente e in Cantina vengono usati solo lieviti indigeni, quindi fermentazione spontanea, breve macerazione sulle bucce, maturazione prima in acciaio, poi botti di legno neutre da 500 L. e alla fine nessuna filtrazione. Il grosso lavoro della Tenuta porta a risultati davvero piacevoli e intriganti, regalando vini PIWI estremamente eleganti e decisamente poco selvatici rispetto ad altri tanti prodotti d'Oltralpe.
Il mono-sistema-vigna non viene contemplato, per loro la biodiversità in vigneto è molto importante, soprattutto nel terreno e il mondo sotterraneo con le radici è il punto decisivo per la crescita sana e perfetta della pianta. Le radici drenano il terreno e sono responsabili di portare giù nutrimento, azoto, carbone e tanta biomassa che forma l'hummus naturale, questo permette di non utilizzare concimi chimici e di sintesi. Ecco quindi che le lungo il vigneto di Thomas troviamo erba alta, cespugli, siepi, erbe vagabonde, fiori, grano, mais, leguminose e segale ... un giardino in movimento, spazio in cui la natura non è assoggettata e soffocata dalle briglie di un progetto umano, come lo definirebbe Gilles Clèment si apprende l'arte di favorire e incoraggiare la natura.
Non solo biologico quindi, ma tanta biodiversità in vigneto, un processo logico per arrivare a produrre vini sostenibili, con meno interventi e lavorazioni possibili per mano dell'uomo.
L’acronimo PIWI deriva dalla lingua tedesca Pilzwiderstandsfähig, che significa viti resistenti ai funghi. I vitigni PIWI hanno un'elevata resistenza alle malattie fungine e quindi consentono una significativa riduzione dell'uso di pesticidi e di sostanze sintetiche nel vigneto, sono robusti, forti e rispetto alle piante di vite tradizionali resistono bene a organismi patogeni.
Le prime ricerche e i primi incroci di impollinazione artificiale sono stati fatti in Francia a fine ‘800 e poi si sono diffusi in Europa, nello specifico in Germania. L’obiettivo originario di queste ricerche era finalizzato a incrociare varietà di vite da vino europee con varietà di vite americane, trovando un equilibrio tra le due e cercando di combinare la resistenza delle varietà americane con la qualità organolettica dei vitigni europei.
Un limite di questi vitigni è l'aspetto legislativo, infatti non possono rientrare nella produzione di vini a denominazione, per intenderci DOC e DOCG. In Italia abbiamo 36 varietà iscritte nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite, per un totale di 640 ettari dedicati, il Veneto è la regione con più ettari vitati, seguita da Friuli Venezia Giulia, Trentino, Alto Adige, Emilia-Romagna e Lombardia.